PROCESSO DIAZ - La sentenza

15. Valutazione delle responsabilità
Operazione presso la scuola Diaz Pascoli

Operazione presso la scuola Diaz Pascoli

In ordine all’irruzione nella scuola Pascoli sono state formulate imputazioni a carico di Gava e Fabbrocini per l’illegale perquisizione effettuata, violenza privata, danneggiamento e peculato, nonché di Fazio per le percosse inferte a Huth.

 

Gava Salvatore

Già nella “Ricostruzione  dei fatti” è stato ampiamente descritto quanto avvenuto all’interno  di tale scuola e si è affermato che non sussistono elementi probatori certi che possano indurre ad escludere che il dr. Gava sia entrato con i suoi uomini nell’edificio esclusivamente per un errore nell’identificazione dell’obiettivo dell’operazione.
Il suo gruppo invero entrò per ultimo, dietro ad altri reparti della Digos e della Squadra Mobile, e salì al secondo piano perché nei primi vi erano già altri colleghi; Gava si rese subito conto che qualcosa non quadrava e così dopo aver parlato con l’On. Mascia decise di far uscire i suoi uomini.
Le dichiarazioni dei testi Sascaro e Apicella nonché  degli agenti ai suoi ordini ed il fatto che sulla targa all’ingresso fosse riportata esclusivamente la dizione “Scuola Elementare di Stato Armando Diaz” costituiscono elementi favorevoli alla tesi difensiva dell’errore, come già si è rilevato.
Anche l’imputato Gratteri ha a sua volta affermato:
“… In relazione a tale ultimo episodio preciso che sono effettivamente intervenuto perché mi appariva chiaro che si trattasse di un errore, in quanto non era quello l’edificio che si era deciso di perquisire …”.
Il maresciallo Russo ha riferito che, all’atto del sopralluogo presso la scuola Pascoli, avvenuto il giorno successivo, i Carabinieri rinvennero il materiale descritto nel relativo verbale, distribuito nei vari locali dell’edificio, che certamente la Polizia di Stato avrebbe sequestrato, se lo avesse trovato quella notte, in quanto riconducibile a persone appartenenti al black - block, obiettivo dell’operazione di polizia. Questo materiale invece venne sequestrato dopo la notte dell’irruzione, perché prima non fu trovato, evidentemente perché non venne nemmeno cercato. Nessuna vera perquisizione ebbe luogo  infatti all’interno della Pascoli e per tale motivo non fu redatto alcun verbale di perquisizione.
Già nel mese di settembre 2001 gli appartenenti alla Squadra Mobile di Nuoro indicavano nella relazione di servizio l’errore commesso e l’allontanamento dall’edificio, su ordine del loro comandante.
Il teste Ag. Alveti della Squadra Mobile di Roma ricorda che fu sorpreso quando al secondo piano della Pascoli, anziché essere assaliti dai presenti, trovarono persone, per lo più giornalisti, tranquille, tanto che talune continuarono a mangiare spaghetti. Vi incontrò il dr. Gava e gli chiese se avessero sbagliato scuola e questi rispose di non saperlo.
Sebbene un simile errore possa in effetti apparire inconsueto e difficilmente accettabile, deve anche osservarsi che tutta l’operazione presso il complesso scolastico Diaz venne disposta senza una precisa preventiva organizzazione degli uomini e dei mezzi ed eseguita quindi con modalità approssimative e confuse mediante l’impiego di forze e reparti diversi composti da operatori che oltre a non conoscersi tra loro non conoscevano neppure i luoghi in cui avrebbero dovuto agire.
In tale situazione, dunque, un errore in ordine all’obiettivo dell’operazione non appare impossibile.
I fatti stessi dimostrano del resto che non vi fu disegno comune e coordinamento fra i vari appartenenti alla Polizia di Stato che entrarono nella Pascoli: taluni si abbandonarono a gesti di violenza, altri agirono nel rispetto delle persone presenti e nell’attesa di più dettagliate istruzioni, poiché evidentemente dubitarono della sussistenza dei presupposti per intervenire ed infatti infine si allontanarono.
Va comunque osservato che non sussiste alcun elemento probatorio che si ponga in aperto contrasto con la tesi difensiva sostenuta da Gava.
Non può dunque escludersi che l’imputato ritenesse in effetti in buona fede di dover eseguire una perquisizione all’interno dell’edificio, in cui infatti entrò con i suoi uomini, e che, resosi conto dell’errore, non vi abbia poi dato corso ed abbia deciso di uscire.
In base dunque al disposto dell’art. 530, comma 2, c.p.p., l’imputato va assolto dai reati di cui al capo S) della rubrica con la formula “perché il fatto non costituisce reato”, attesa la carenza di prove circa la sussistenza dell’elemento soggettivo di detti reati, non potendosi escludere, come sopra rilevato, che il dr. Gava abbia agito nella convinzione di eseguire l’ordine ricevuto.
Per quanto attiene agli altri reati ascritti al dr. Gava, va osservato che, come del resto già osservato nella “Ricostruzione  dei fatti”, cui si rimanda per quanto qui non ripetuto, non risulta in alcun modo provato che detto imputato ed i suoi uomini abbiano usato violenza o comunque costretto alcuno dei presenti all’interno della scuola Pascoli a “inginocchiarsi o anche a sdraiarsi a terra e a mantenere tale posizione per almeno mezzora”.
Va comunque rilevato in proposito che, come si è detto, non può escludersi che il dr. Gava agisse nella  convinzione che dovesse essere eseguita una perquisizione nell’edificio in cui era entrato e che pertanto ritenesse giustificatamente di dover mantenere i presenti a disposizione degli operatori.
Il dr. Gava non può inoltre rispondere delle altre condotte coercitive tenute da appartenenti non identificati della Polizia di Stato, che usarono prepotenza e violenza nei confronti degli occupanti l’edificio.
Va infine rilevato che non esistono elementi di prova per sostenere che il dr. Gava, salito al secondo piano della Pascoli, senza neppure accedere alla sala avvocati, posta lungo il corridoio, separato dal pianerottolo e dalle scale da una porta, debba rispondere della condotta di chi vi entrò, distrusse le apparecchiature informatiche e si appropriò di parti dei computer quali gli hard - disk.
L’imputato va dunque assolto anche dai reati sub T), U) e V) con la formula “per non aver commesso il fatto”.

 

Fabbrocini Alfredo

Il dr. Fabbrocini aveva ricevuto il compito di provvedere alla “cinturazione” del complesso scolastico Diaz. Ciò è stato affermato non soltanto dallo stesso imputato, ma anche da numerosi testimoni.
Nel corso degli interrogatori resi al PM il 23/9/02 ed il 22/11/03 Fabbrocini ha spiegato che, all’imbrunire del sabato 21 luglio, mentre si trovava dinanzi al palazzo della Questura di Genova insieme con i dodici equipaggi del Reparto Prevenzione Crimine Calabria, composti da quattro uomini ciascuno, ricevette notizia dal dr. Caldarozzi  di un’imminente perquisizione all’interno di un istituto scolastico. Compito del suo Reparto sarebbe stato quello di cinturarlo per evitare l’ingresso e l’uscita di persone.
Hanno spiegato i testi ed, in particolare, il dr. Gonan, il quale si occupò successivamente ai fatti delle indagini, che ai Reparti Prevenzione Crimine non è assegnato un servizio proprio nell’ambito di una operazione. Questi svolgono invece funzione di supporto al fine di assicurare ad altri reparti il corretto svolgimento di vaste operazioni di controllo del territorio o di polizia giudiziaria. Per tale motivo i Reparti Prevenzione Crimine hanno sede nei capoluoghi di regione e svolgono le proprie funzioni nell’ambito regionale. In occasione del vertice G8, alcuni erano stati eccezionalmente distaccati fuori sede in ausilio della Questura di Genova.
Quella sera il dr. Fabbrocini restò in attesa con i suoi sottoposti, che indossavano la divisa atlantica ed un giubbotto d’ordinanza. Dopo circa un’ora giunse, probabilmente dallo stesso dr. Caldarozzi, l’ordine di partire. Poiché gli appartenenti al reparto ed il loro dirigente non conoscevano l’obbiettivo, seguirono la colonna. Giunti a destinazione, il dr. Fabbrocini comandò agli autisti di presidiare i mezzi ed agli altri di avvicinarsi con lui all’edificio scolastico, visibile sulla destra, che in seguito apprese essere la scuola Pascoli. Ordinò pertanto di formare un cordone. L’imputato non impartì l’ordine di farvi ingresso, eppure apprese dopo circa un quarto d’ora dall’Ag. Santopolo che alcuni vi erano entrati, seguendo colleghi di altri reparti. Il funzionario vi si recò allora al solo scopo di richiamarli, poiché non rientrava nei compiti istituzionali  del suo reparto compiere atti all’interno dell’edificio da perquisire. Ritenne tuttavia opportuno conferire col funzionario responsabile. Per quanto non fosse un suo superiore gerarchico, volle relazionarsi con lui ed avere il suo assenso. Lo individuò nel collega Gava, che pregò di aspettare la sostituzione del personale del Reparto Calabria con altro preposto al servizio: erano infatti presenti numerose persone, in numero di gran lunga superiore a quello dei poliziotti.
Il dr. Fabbrocini non ricevette né richiese dettagli sull’operazione in corso, perché non gli competeva; si limitò ad ordinare ai suoi sottoposti di lasciare l’edificio.
All’esterno fu avvicinato dal dr. Ferri, che gli chiese di occuparsi del servizio di scorta ai veicoli destinati al trasporto dei fermati.
La tesi difensiva trova piena conferma nelle deposizioni dei testi Mastroianni, D’Arrigo, Attonito, Santopolo, Colacicco, Greco, Santangelo e nelle dichiarazioni rese da Magrone, tutti appartenenti al Reparto Prevenzione Crimine Calabria. Costoro elaborarono in epoca successiva, su richiesta del funzionario, una relazione in data 2/10/01.
La circostanza che alcuni uomini al suo comando abbiano fatto ingresso nella Pascoli, che non avrebbe dovuto essere perquisita, non dimostra di per sé il coinvolgimento del dirigente e tantomeno la sua responsabilità in ordine ai gesti di violenza ed alle asportazioni di materiale.
Il dr. Fabbrocini deve pertanto essere assolto dai reati ascrittigli al capo X) con la formula “perché il fatto non sussiste” e dagli altri, di cui ai capi Y), W) e Z), “per non aver commesso il fatto”.

 

Fazio Luigi

L’imputato è stato riconosciuto con sicurezza da Huth Andreas nel corso dell’incidente probatorio disposto a tal fine.
La descrizione dei fatti da parte della vittima e le conferme degli altri testimoni, Plumecke e Moser, quantomeno in ordine alla coercizione subita da Huth da parte del poliziotto più anziano, che lo condusse con sé, già ampiamente riportate nella “Ricostruzione  dei fatti”, insieme al suddetto riconoscimento, costituiscono piena prova della penale responsabilità di Fazio in ordine al reato di percosse ascrittogli.
A Fazio possono concedersi le attenuanti generiche in considerazione della sua incensuratezza ed in particolare della situazione di stanchezza e di stress in cui maturarono i fatti, già ampiamente descritta; dette attenuanti vanno peraltro ritenute soltanto equivalenti all’aggravante contestata, che appare di eguale valenza, tenuto presente che l’imputato era addestrato e preposto proprio alla tutela della legalità.
Valutato ogni elemento di cui all’art. 133 c.p., stimasi conforme ad equità e giustizia la pena di un mese di reclusione.
In base al combinato disposto degli artt. 28 e 31 c.p., Fazio va altresì condannato alla pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici per il periodo minimo previsto di anni uno.
All’imputato, incensurato, possono concedersi i benefici della sospensione condizionale della pena come sopra inflitta e della non menzione della condanna, sotto le comminatorie di legge.